Questo episodio riguarda le posizioni esistenziali.
Ne ho parlato in un articolo sul mio sito, lo trovate qui: https://www.studiopaladino.com/resource/stai-bene-con-o-ti-liberi-di/
Vi consiglio di leggerlo prima di ascoltare questo episodio, perché qui ho voluto riprendere e leggervi proprio alcuni stralci del libro di Ian Stewart Van Jones “L’analisi transazionale – Guida a una psicologia dei rapporti umani”, perché in essi viene spiegato in modo illuminante cosa succede quando assumiamo una delle quattro posizioni esistenziali, dando degli esempi di vita quotidiana molto interessanti.
Vi ricordo la definizione di posizione esistenziale: le quattro posizioni esistenziali che noi assumiamo, derivano da atteggiamenti o predisposizioni interiori che si formano a partire dalle esperienze di vita risalenti alla prima infanzia.
E quindi significano molto più di una semplice opinione riguardo al comportamento proprio e altrui. Derivano infatti da profonde convinzioni su noi stessi e su chi ci circonda che abbiamo assunto quando eravamo molto piccoli.
Ebbene, cominciamo con questi esempi pratici.
Intanto dobbiamo dire che solo una delle quattro posizioni deriva da un atteggiamento adulto, e questo significa che non è collegato, che non ci riporta a esperienze che abbiamo avuto quando eravamo molto piccoli, e che quindi non sono collegate alla realtà del qui ed ora.
Quindi le altre tre posizioni saranno derivanti da posizioni che ci riportano al là e allora, cioè a situazioni del nostro passato. L’unica che invece è collegata alla realtà di adesso è quella che viene definita “Io sono ok e Tu sei ok”. L’interazione sociale che può derivare da questa posizione, chiamata anche operazione, nel caso di “Io sono OK, Tu sei ok” è: “vado avanti con”.
IO sono OK, TU sei OK
Vediamo un esempio riportato dai due autori:
Sono appena arrivata sul posto di lavoro. Entra il capo con un mucchio di carte e dice: ecco il rapporto che aspettavamo, ho segnato i punti in cui dovrai intervenire. Vuoi vedere e riferirmi per favore? E io rispondo: d’accordo, lo farò.
Quando sento questa richiesta ho verificato dentro di me di essere capace di fare ciò che mi chiede e di sentirmi anche a mio agio nel farlo.
Tra l’altro vedo che lui è giusto e ragionevole nel chiedermi di farlo, e quindi sono nella posizione “Io sono ok, Tu sei ok”. Quindi nella nostra interazione sociale il capo e io stiamo andando avanti con ciò per cui entrambi siamo lì. Ogni qual volta ho un’interazione a partire da questa posizione esistenziale, rinforzo la mia convinzione che io e gli altri nel mondo siamo ok.
IO non sono OK, TU sei OK
Ora vediamo l’esempio che gli autori riportano per la posizione “Io non sono ok, Tu sei ok” o anche Io – Tu +. L’operazione che ne deriva è “vado via da”.
Sono seduta al mio posto di lavoro. Con la coda dell’occhio vedo qualcuno che si china su di me: è uno dei miei colleghi ha la fronte aggrottata.
Avendo già visto questa sua espressione, posso ipotizzare perché viene da me. Vuole perdere un po’ di tempo a lamentarsi della sua situazione di lavoro, chiedendomi un consiglio, senza poi ovviamente seguirlo. Come sempre quando arriva al mio tavolo e apre la bocca ho due scelte:
- Mi faccio coinvolgere nella mia situazione cosiddetta “copionale”, cioè che riporta a situazioni del passato, ma non molto funzionali adesso.
- Oppure rispondo a partire dal qui e ora, con la mia parte adulta che è connessa alla realtà.
Vediamo un attimo una modalità di azione che mi riporta al là e allora, per cui io sono convinta di non essere OK. Adotto una posizione “Io non sono ok, ma tu sei ok”. Allora dico a me stessa: “non ce la faccio a sentire le lamentele di questo qui non ne sono all’altezza, non ce la faccio proprio!”
Però lui è uno che continua a parlare.
Qualsiasi cosa io faccia devo andarmene. Ho lo stomaco teso e comincio a sudare e quindi, senza nemmeno sentire davvero quello che il mio collega sta dicendo, gli borbotto “Senti Jim, devo andare un minuto in bagno” e mi dirigo alla porta. Solo quando sono fuori dalla stanza mi rilasso e tiro un sospiro di sollievo. Sono andata via da Jim con una modalità d’azione cosiddetta copionale, antica, ma così facendo ho rinforzato la mia convinzione della mia parte bambina, cioè della mia parte di allora, che io non sono ok, mentre gli altri sono ok.
Vediamo invece se io operassi a partire dalla mia parte adulta, collegata al qui e ora. L’effetto apparentemente visto dall’esterno è lo stesso, ma le sequenze interiori sono diverse.
Se scelgo di restare nella mia parte adulta, dico a me stessa: “In questo momento non ho nessuna voglia di ascoltare Jim, perché lui ha dei problemi, ma non è compito mio risolverli. Una volta che comincia a parlare, tra l’altro, è anche difficile fermarlo. Mmh. Penso che la cosa migliore che io possa fare è uscire dalla sua portata”. Quando Jim apre la bocca e comincia con le sue lamentele, io dico: “Senti Jim, questo non mi va. Io non posso fermarmi adesso. Devo andare giù in biblioteca a verificare certe fonti per questo rapporto. Quindi mi auguro che riuscirai a risolvere i tuoi problemi”. Prendo il rapporto e me ne vado, ma con la consapevolezza della mia parte adulta che ho scelto l’operazione di andare via.
IO sono OK, TU non sei OK
Vediamo ora la terza posizione: Io sono ok, ma tu non sei ok. Io+, Tu-. L’operazione sociale che ne deriva è “Mi libero di”.
Ecco l’esempio che fanno gli autori.
Dieci minuti più tardi, immaginiamoci ancora nella situazione che ho descritto nelle precedenti due posizioni. Torno in ufficio con una tazza di caffè tutta presa dal rapporto. La porta si apre. E stavolta il mio assistente ha l’aria afflitta. “Temo di avere brutte notizie”, dice. “Ti ricordi quella cosa che mi avevi detto? Ero talmente occupato che ho dimenticato di farlo. Adesso siamo in ritardo sulla tabella di marcia. Che devo fare”?
Se vado nella mia modalità antica, diciamo, allora potrei rispondere dalla posizione “Io sono ok, Tu non sei ok”, diventare tutta rossa e urlare al mio assistente “Che cosa devi fare? Quello che devi fare è trovarlo subito. Muoviti! Non voglio sentire più una sola parola fino a che non avrai finito il lavoro. Capito?”
Nel dire questo, il mio battito cardiaco accelera, divento letteralmente di fuoco e una volta uscito il mio assistente mi dico “Oggi non ti puoi più fidare di nessuno per fare un lavoro se non lo fai da solo”. Mi sono liberata del mio assistente creando una giustificazione di copione, cioè antica, alla mia convinzione che io sono ok, ma gli altri non lo sono.
Vediamo invece se rispondessi a partire da uno stato interiore collegato alla realtà del qui-ed-ora, che possiamo quindi chiamare adulta.
Allora potrei rispondere al mio assistente “Beh, è compito tuo risolvere il problema, in questo momento io sto facendo qualcosa di urgente. Allora vai e trova qualche modo per finire il lavoro al più presto possibile. Torna alle quattro e riferiscimi”. Poso nuovamente lo sguardo sul mio lavoro per segnalare che il nostro colloquio finisce qui, e quindi mi sono liberata del mio assistente, ma in un modo che mi permette di badare a me stessa e che comunque ci lascia entrambi OK.
IO non sono OK, TU non sei ok
Vediamo infine l’ultima posizione: Io non sono ok, Tu non sei ok. Io-, tu-. L’operazione derivante, di carattere sociale intendo, è “ Niente da fare con”.
Sono sempre nel mio ufficio e squilla il telefono. È la mia colf che mi chiama da casa. “È successa una cosa terribile, si è rotto un tubo e tutto il tappeto si è inzuppato prima che io potessi chiudere l’acqua!”
Vediamo un po’: se io retrocedessi fin nel mio passato, a queste parole potrei entrare subito nella posizione “Io non sono OK, ma anche questa persona non è OK, e dire a me stessa “ne ho abbastanza, non ce la faccio più, questa donna non mi aiuta, è una situazione senza speranza!”
Allora sospiro e dico “guarda, io non ce la faccio più, questo è troppo, dopo una giornataccia che ho avuto!” e senza aspettare una risposta, abbasso la cornetta. Mi sento svuotata e depressa e dentro di me ho rafforzato una convinzione che io e gli altri non siamo OK.
Vediamo un po’ cosa potrei fare, come puro esempio, se partissi da una posizione adulta. Potrei rispondere “guarda, ormai il danno è fatto. Tieni duro. Cerca di fare il possibile finché arrivo a casa e poi vedremo cosa possiamo fare”. Quindi ho scelto l’operazione di soprassedere quando non c’è niente da fare con qualcosa che è già successo.
Ecco, questi erano gli esempi riportati dagli autori in maniera brillante per illuminare cosa potrebbe succedere quando noi partiamo da una posizione esistenziale legata al nostro passato, oppure legata a una situazione che viviamo nella realtà, cioè quando la vediamo senza che questo ci riporti a situazioni passate.
Ora, l’articolo di cui vi parlavo si conclude dicendo che ognuno di noi tenderà a comportarsi secondo una propria posizione esistenziale preferita, ovvero secondo i nostri schemi comportamentali che sono radicati.
Però, in questo modo noi possiamo capire che se vogliamo migliorare la qualità delle nostre relazioni, è di estrema utilità individuare quale sia la propria posizione esistenziale preferita, e possiamo lavorare su noi stessi per riuscire a rimanere nella posizione Io+ Tu+ per la maggior parte del tempo.
Questa posizione esistenziale, infatti, è quella che ci garantisce una modalità relazionale equilibrata ed integra, che è poi l’essenza della assertività.
E a proposito di assertività, perché non ti metti alla prova? Vai qui: https://www.studiopaladino.com/quiz-assertivita/
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