Riprendo qui il tema della Psicologia Positiva, seguendo il ragionamento di Martin Seligman nella sua opera “Learned Optimism”. Lo stile attributivo è il modo abituale con cui ti spieghi perché certi eventi succedono. Sappiamo che attribuire la causa di un evento negativo che ci capita a una caratteristica di noi stessi e per di più permanente è una caratteristica tipica del pessimismo, e può portare a depressione. Per esempio spiegarci il fatto di essere stati rifiutati ad un posto di lavoro perché ci riteniamo stupidi, che è una condizione non modificabile.
Se da un lato è vero che apprendere l’ottimismo è utile per evitare di cadere nella depressione, o per permetterci si uscirne più velocemente, o di evitare di sprofondare nello stato detto di “impotenza appresa”, ed anche per affrontare le sfide della vita con maggior “leggerezza” e probabilità di successo, Seligman ci offre tuttavia un avvertimento, che riguarda il tema della responsabilità.
Ci suggerisce di porci questa domanda: è giusto accusare gli altri dei miei fallimenti? Vogliamo sicuramente che le persone ammettano i propri errori e siano responsabili delle loro azioni. Come mettiamo insieme l’apprendimento dell’ottimismo, che comporta sia lo spostamento dell’attribuzione da noi stessi verso l’esterno sia lo sviluppo della convinzione che le nostre azioni possono avere un impatto sulla situazione che stiamo vivendo?
La chiave, sottolinea Seligman, sta nel fatto che se vogliamo cambiare il nostro approccio alla vita, in modo da essere spinti ad agire per cambiare le cose in meglio assumendocene la responsabilità, dobbiamo guardare alla dimensione della permanenza della causa che è ancor più cruciale rispetto alla dimensione della sua localizzazione, cioè al fatto che la causa della situazione sia addebitata a fattori interni a sé piuttosto che esterni.
Quindi, se vogliamo che le persone siano responsabili delle loro azioni, allora vogliamo che abbiano una localizzazione interna della causa, ma è bene che si abbia un’attribuzione di tipo temporaneo per tale causa, e per gli eventi negativi. Come afferma Seligman «Dobbiamo credere che qualsiasi sia la causa di un evento negativo, essa può essere cambiata».
Se facendo il test offerto nel libro ottenete un punteggio di moderato pessimismo, potreste pensare che va bene così. In fondo, un moderato pessimismo è più realistico, sostengono da più parti. In effetti, potreste non avere problemi nei momenti ordinari della vita, quando siete in una sorta di tranquilla routine, in una sorta di “navigazione di crociera”. Ma durante i momenti duri, di crisi, quando la vita ci sbatte in faccia le avversità, chi ha un moderato pessimismo paga un prezzo non necessario. Potremmo ritrovarci più abbattuti e depressi del necessario, perdere la resistenza e il coraggio, la voglia di vivere e di affrontare le sfide che la vita ci pone. Il futuro potrebbe sembrarci cupo, e magari questa situazione emotiva ce la trasciniamo per lungo tempo.
Ma non dev’essere per forza così. Se usiamo uno stile attributivo differente, siamo meglio equipaggiati per affrontare le situazioni sfidanti e meno inclini a cadere nella depressione. È interessante ciò che afferma Seligman: se abbiamo un grado medio di pessimismo, attraverseremo la vita ad un livello in qualche modo più basso rispetto a quello che i nostri talenti ci permetterebbero.
Le nostre prestazioni a scuola, sul lavoro, nello sport e finanche la bontà della nostra salute ne sarebbero ostacolate. Avremmo maggiori probabilità di soffrire delle malattie croniche dovute all’invecchiamento precoce più di quanto dovremmo. Il nostro sistema immunitario potrebbe non funzionare bene come dovrebbe, saremmo più esposti alle infezioni e avremmo un recupero più lento dalle malattie.
Seligman ci suggerisce quindi tecniche indicate per alzare il livello di ottimismo, così da ottenere dalla nostra vita il massimo di ciò che è nelle nostre possibilità. E di questo parleremo nel prossimo episodio.
Martin Seligman, Learned Optimism, Knopf Doubleday Publishing Group.
Picture credits: Anna Shvets on Pexels
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