Meglio la Sindrome di Pollyanna o il Pessimismo cosmico di Leopardi?
Nessuno dei due. Ovviamente.
Meglio l’ottimismo illuminato di Seligman. Condito da un po’ di pessimismo, quando serve.
Anche chi non pensa di essere pessimista, nei suoi discorsi semina tracce che le altre persone colgono e a cui reagiscono negativamente.
Ma anche se l’atteggiamento pessimistico sembra permanente, si può imparare ad essere ottimisti apprendendo nuove competenze cognitive.
Il pessimismo è un’abitudine appresa che ha come estensione la depressione.
Al cuore del pessimismo c’è il fenomeno dell’impotenza, della vulnerabilità estrema. Quella che sperimentiamo appena nati, e che molto spesso sperimentiamo nell’ultima fase della nostra vita.
L’opposto dell’impotenza è il controllo personale, cioè la capacità di cambiare le cose grazie ai nostri atti volontari.
Nella vita ci sono tantissime cose su cui non abbiamo alcun controllo, ma c’è comunque un’area vasta su cui possiamo esercitare un controllo o almeno un’influenza e il modo in cui pensiamo quest’area della nostra vita può incrementare o diminuire il controllo che abbiamo su di essa.
I nostri pensieri non sono mere reazioni agli eventi, ma cambiano ciò che ne deriva, come sostiene lo psicologo americano Martin Seligman nella sua opera Learned Optimism.
Quando è utilizzato giudiziosamente, un moderato pessimismo ha la sua utilità. Ma quando diviene un’abitudine pervasiva, tale per cui ci riteniamo causa di ogni contrattempo, che le situazioni avverse siano permanenti e che guasteranno tutto ciò che faremo, allora ce ne capiteranno ancora di più di quanto ce ne capiterebbero se non fossimo convinti del contrario.
Le profezie pessimiste si autoavverano.
Una delle scoperte più significative della psicologia negli ultimi tempi è che gli individui possono scegliere il modo in cui pensano.
Seligman sostiene un punto importante: «Ciò che è cruciale è quello che pensi quando fallisci, usando il potere del “pensiero non negativo”. Cambiare le cose distruttive che ti dici quando sperimenti le battute d’arresto della vita è l’abilità centrale dell’ottimismo».
Ci sono due concetti principali che riguardano il tema del controllo personale e che sono correlati:
- L’impotenza appresa
- Lo stile attributivo
Il primo concetto si riferisce alla resa conseguente alla convinzione che qualsiasi cosa tu faccia non abbia alcun impatto sulla situazione. Il secondo è il modo abituale con cui ti spieghi perché certi eventi succedono.
Un’interessante notazione di Seligman è che in ognuno di noi c’è una parola nel nostro cuore: sì o no. Magari non lo sappiamo intuitivamente, ma ci sono dei test che possono aiutarci a scoprirlo e possiamo impararlo con un buon grado di accuratezza.
L’ottimismo non è una panacea, ma ha un posto importante in molti campi della nostra vita. Come ci ricorda Seligman, può proteggerci dalla depressione, può aumentare il nostro livello di realizzazione e il nostro benessere, ed è uno stato mentale decisamente migliore in cui ritrovarci.
D’altro canto il pessimismo ha i suoi luoghi appropriati, che vengono affrontati dall’autore nella stessa opera. Ma di questo parleremo in un prossimo episodio.
Se facendo il test proposto nel libro scopri, oppure lo sai già conoscendoti bene, di essere tendenzialmente pessimista, Seligman ci tranquillizza: possiamo imparare un set di abilità che ci liberano dalla tirannia del pessimismo e ci consentono di usare l’ottimismo quando lo decidiamo. Queste skill non sono semplici da acquisire, ma possono essere padroneggiate. E il primo step è proprio conoscere la parola che c’è nel nostro cuore. Non è una coincidenza se ciò è anche il primo passo verso la comprensione di come il senso di controllo personale determina il proprio destino.
Seligman, Martin, Learned Optimism, Knopf Doubleday Publishing Group.
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